La fiaba delle due Culture

di Sergio Chiodo


C'era una volta una Classe che aveva due insegnanti, l'insegnante di Lettere e quello di Numeri.

L'insegnante di Lettere si esprimeva molto correttamente, usava spesso il congiuntivo, accordava sempre soggetto e verbo e, quanto ad anacoluti, neanche a parlarne. L'insegnante di Numeri faceva del proprio meglio, ma bisogna confessare che il suo eloquio era meno elegante, che utilizzava più spesso le proposizioni coordinate che le subordinate (e tra le coordinate preferiva le cartesiane alle polari), che il suo vocabolario era meno ricco di sinonimi; non si può negare che la sua arte retorica andasse raramente oltre l'uso della litote.

Tuttavia l'insegnante di Numeri, conscio dell' importanza di entrambe le Materie per la formazione culturale della Classe, cercava di utilizzare tutte le sue reminiscenze (aveva anch'egli, in gioventù, studiato Lettere) non solo per capire le citazioni latine del Preside, ma anche per lanciare messaggi subliminali alla Classe: talvolta spiegava l'origine greca di un termine tecnico, illustrando i nomi dei punti cardinali mostrava di sapere che alcuni verbi latini sono deponenti, ostentava soddisfazione quando, parlando della costellazione dei pesci, ricordava un genitivo plurale secondo lui particolarmente difficile. Egli riteneva, così facendo, di insegnare alla Classe che la Cultura è unitaria, nonostante gli  insegnanti fossero due, e che sia le Lettere che i Numeri hanno una grande importanza nella formazione dello Studente.

Anche l'insegnante di Lettere aveva questa convinzione, ma si comportava diversamente: egli la professava apertamente alla classe dicendo:  "Vi assegno i compiti di Vocali, ma non dimenticate di svolgere anche i compiti di Numeri Dispari" , oppure "Domani faremo una verifica di Consonanti, ma non trascurate di studiare anche Numeri Pari". Messaggi subliminali, lui, non ne mandava, o per lo meno credeva di non mandarne....

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Dovete sapere che il collegio dei docenti di quella scuola era un po' poco numeroso, essendo costituito dai nostri due Insegnanti, dal Preside e basta. Le riunioni potevano perciò svolgersi in un'aula piccola, così piccola che quando uno pensava, gli altri sentivano.

Una volta l'insegnante di Numeri si lamentava delle gravi lacune di alcuni studenti della Classe: "Figuratevi che addirittura confondono i numeri primi con i numeri secondi!". Si sentì, debole ma riconoscibile, il pensiero dell'insegnante di Lettere: "Chissà cosa vuol dire".

I miei venticinque lettori forse diranno "Vabè, è un episodio isolato, e poi abbiamo sentito spesso l'insegnante di Numeri usare l'indicativo al posto del congiuntivo". Il fatto è che l'insegnante di Lettere questa sua scarsa conoscenza delle discipline numeriche la ostentava, talvolta sembrava quasi vantarsene. Non raramente diceva al suo collega " Ah, io di Numeri Pari non ho mai capito niente" oppure "Per carità, non parlarmi di Numeri Dispari che mi viene il mal di testa solo a pensarci".

Sia ben chiaro, anche l'insegnante di Numeri  non conosceva tanto bene le Vocali, e di Consonanti ricordava a malapena le labiali. Solo che lui si vergognava, e non lo ammetteva pubblicamente (anche se durante le riunioni del collegio i suoi pensieri lo tradivano).

Fortunatamente questi pensieri, più o meno reconditi, non venivano mai a conoscenza della Classe, e tutto procedeva nel migliore dei modi. Solo una volta vi fu un piccolo malinteso.

Un giorno l'insegnante di Lettere, per spiegare alla Classe una figura retorica, fece questo esempio: "Per me i Numeri sono Arabo". Uno dei due rappresentanti della Classe si alzò in piedi e chiese: "Prof, è un messaggio subliminale?". "No, assolutamente no: è un' antonomasia" tranquillizzò il professore, e tutto si chiarì.

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Così, tra un messaggio subliminale dell'insegnante di Numeri e un messaggio esplicito dell'insegnante di Lettere, la Classe si formò una Cultura completa. E si maturarono tutti, felici e contenti


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